Pensavo a quanto profondamente odiassi Madrid durante l’inverno, quando la mia attenzione fu attirata dalle grida di alcuni manifestanti che, armati di striscioni e bandiere, protestavano in maniera piuttosto colorita contro le politiche del lavoro attuate dal governo spagnolo. Diedi solo una rapida occhiata, avevo troppa fretta per soffermarmi ad ascoltare le loro ragioni, e notai che la maggior parte di loro non superava i 30 anni. Giovani: studenti, precari, disoccupati, tutti in piazza ad affermare le proprie ragioni e a far valere i propri diritti nei confronti di uno stato che sembrava essersi dimenticato di loro. Improvvisamente le mie futili preoccupazioni di piega e stivali mi apparvero ridicole. In quella piazza c’erano i miei coetanei ed erano li, sotto la pioggia, di domenica mattina, a fare anche la mia parte. Perché precaria lo ero pure io, seppure della specie più privilegiata, e molti dei diritti per i quali si battevano quei giovani, erano gli stessi per i quali mi ero sempre battuta io. Tutte le tappe della mia gioventù erano segnate da una qualche forma di protesta, scritta o gridata invano verso governanti sordi, ciechi e poco lungimiranti.
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